Pupi Avati: gli anni ghignanti


Ci si e' ormai talmente abituati a considerare Pupi Avati il "poeta dell'intimismo padano" che nemmeno le sue ultime opere, un thriller girato negli Stati Uniti e una sorta di horror settecentesco, riescono piu' a scollargli di dosso la patente di "quello della gita scolastica".
Rovistando poi nella sua prima produzione e' possibile scoprire, non senza una certa sorpresa, altre e diverse tematiche che denotano un estro creativo assai piu' versatile e multiforme di quanto comunemente si creda.
E' un Avati perfido e sarcastico quello che sta dietro a La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone (1975 AVO FILM ), un Avati certamente sotto l'influsso degli ultimi stupefacenti prodotti del grande vecchio Bunuel. Una sana vena anticlericale (in seguito ampiamente ridimensionata) e una feroce ironia fanno in questo film piazza pulita dei luoghi comuni su apparizioni miracolose e conseguente turismo devozionale. I personaggi sono tutti brutti e meschini (con la sola eccezione delle due prostitute Delia Boccardo e Lucienne Camille); Paolo Villaggio in particolare, con parrucca cotonata bionda, e' impegnato qui nel ruolo piu' malvagio e negativo di tutta la sua carriera. E Tognazzi, bravo come sempre, sguazza letteralmente nei panni del miscredente barone che, truffato ed espropriato di tutti i beni, trovera' alla fine nella pazzia una personalissima e toccante forma di redenzione.
Assolutamente esilarante e' la ricostruzione cineamatoriale, commissionata da un alto prelato, dell'improbabile storia del fico dei miracoli: si tratta di un vero e proprio film nel film girato con tutti gli errori e le goffaggini in cui un cineasta maldestro puo' incorrere.

Con l'opera seguente, Bordella (1976 Domovideo), Pupi Avati cambia il bersaglio della sua satira ma non ne diminuisce il tono. Ora e' la politica espansionista americana ad esser presa di mira nel personaggio di Harry (non Henry) Kissinger, grosso esponente politico USA, nemmeno tanto ipotetico, intenzionato ad avviare in Italia una catena di bordelli per signore. L'impianto del film, le trovate, le citazioni lasciano trasparire quelli che probabilmente sono stati i grandi amori cinematografici del regista: il Musical, Rocky Horror e perfino la serie di Francis il mulo parlante. Ma le mani sulla sceneggiatura cominciano ad essere un po' troppe (c'e' anche Maurizio Costanzo) e non tutte le gag filano liscie come si vorrebbe. Gli attori sono tutti in forma, dallo sfortunato Al Lettieri a Gigi Proietti, a Cavina, a un esordiente Christian De Sica quasi tollerabile grazie ad un ruolo particolarmente antipatico. Ma la sorpresa maggiore, per gli amanti del cinema B, e' data dalla presenza di George Eastman (l'italiano Luigi Montefiori, decano dei "cattivi" nei B-Movies nazionali), irriconoscibile senza la caratteristica barba, nella parte dell'ambiguo "puttano" Simbad.
L'impressione generale e' che il cast si sia divertito un mondo e di conseguenza il film sia un po' sfuggito di mano al regista.
In definitiva consiglio comunque caldamente la visione e la riscoperta di entrambe le opere del giovane Avati, anche per riflettere su come la cinematografia italiana abbia guadagnato un Tavernier ma abbia perso un Mel Brooks.


La Mazurka del barone, della santa e del fico fiorone
Delia Boccardo
Paolo Villaggio e Delia Boccardo
Paolo Villaggio, Delia Boccardo e Lucienne Camille
La "Santa del fico"

Bordella
Gianni Cavina
George Eastman (incredibile ma vero!)
Il "comandante dei pompieri"

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